22 dicembre 2009

Risposta n 2 a Giacomo Pacini

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Giacomo Pacini

Conoscevo questa lettera. Ma conosco anche questo altro passo dei diari di Valpreda: "Che Merlino non abbia un passato limpido, che sia politicamente ambiguo, che sia stato un provocatore , tutti questi precedenti sono ormai ampiamente dimostrati, ma ciò non vuol dire che lo sia stato nel nostro caso, in seno al nostro gruppo, riguardo agli attentati del 12 dicembre. Non per quello, necessariamente questo. E' una massima molto antica. Vuol dire chiaramente che ciò che si è commesso nel passato non si può arguire che lo si commetta necessariamente anche ora. Per cui non è che io difenda Merlino o una sua pretesa verginità morale; nego recisamente che al presente sia colpevole nei riguardi nostri di ciò di cui viene imputato dall'accusa".
Comunque la mia domanda non riguardava tanto il 22 marzo, quanto, appunto, la singola figura di Valpreda ed il fatto che egli (che io sappia), non ha mai preso apertamente le distanze da Merlino. ...
Tutto qui.


La mia risposta
Non ho mai letto il diario di Valpreda dal carcere e quindi non posso citarlo o verificare il contesto dei passi da esso estrapolati da lei esposti.
Mi sembra comunque logico legare la frase al contesto, cioè al processo all’epoca in corso. Lei dimentica che a livello giudiziario Valpreda e Merlino erano legati (solo ed esclusivamente a livello giudiziario però, sia ben chiaro) ad un unico destino. Le sue domande avrebbe dovuto rivolgerle a Valpreda quando era in vita (Pietro è sempre stato un uomo estremamente gentile e comunicativo).
Le cito però un passo tratto dal libro di Cucchiarelli (Pag 368) che mi sembra possa rispondere alle sue domande: “In carcere, Pietro Valpreda scrisse nel suo diario che «sapevamo, perchè lui stesso l'aveva detto, che Merlino era stato fascista, ma che frequentasse e tenesse ancora contatti con elementi fascisti i compagni ed io l'abbiamo saputo dopo l'arresto. Non abbiamo molto da vergognarci come anarchici, se c'è stata solo un'infiltrazione di alcuni elementi provocatori di destra e nessuna simbiosi o altro»”.
Vuol sapere se Valpreda ha mai preso le distanze da Merlino? Valpreda era un anarchico e Merlino era ed è rimasto un fascista e quindi la loro distanza è sempre stata abissale.
Vorrei farla io una domanda: Ho scritto due lettere per smentire affermazioni contenute nel libro di Cucchiarelli - che ha promesso una risposta che ad un mese di distanza ancora non è arrivata - e lei mi ha risposto ponendomi domande che nulla hanno a che fare con quanto da me scritto. Non le pare uno strano modo per cercare una verità?
Penso che lei abbia un pregiudizio sulla figura di Valpreda – e per uno studioso non sarebbe un bene – e vuole che io in qualche modo lo avvalori. Mi spiace per lei, ma se ho rotto un silenzio che durava da quasi 40 anni, è solo perchè non posso più tollerare che venga riscritta per l’ennesima volta la nostra storia e per rettificare una volta per tutte una serie di menzogne e leggende metropolitane che dal lontano 1969 ci perseguitano.

19 dicembre 2009

Risposta a Giacomo Pacini - 14 Aprile 1970 lettera di Pietro Valpreda dal carcere

Giacomo Pacini http://www.facebook.com/profile.php?id=1507934871
Ricercatore Storia Contemporanea.Ha scritto: http://www.facebook.com/group.php?gid=111480141059

Di Cola, se posso permettermi una domanda; ma perchè Valpreda, anche a Catanzaro, ha sempre continuato a difendere Merlino?

La mia risposta:

da Strage di Stato, APPENDICE I
1) lettera di Pietro Valpreda dal carcere


Testo della lettera inviata da Pietro Valpreda alla Redazione di “Umanità Nova” (85)

Carcere di Regina Coeli

14 Aprile 1970


Cari compagni,

vi accludo queste note che credo vi potranno servire, anche perché‚ vedo da “Umanità Nuova” che dovete spulciare notizie da altri giornali… Fatene l’uso che credete meglio. In carcere per ora, malgrado la grande repressione, vedo solo anarchici.

Saluti e anarchia.

Pietro


A più di cinque mesi dall’inchiesta precostituita dagli organi del sistema nei nostri riguardi, vorrei puntualizzare alcuni punti e renderne noti altri alla parte più sensibile e cosciente dell’opinione pubblica, anche se credo doveroso aggiungere che diversi organi di stampa, che ci hanno affiancati e che potrei chiamare innocentisti, hanno abbracciato tale tesi più ai fini di una certa strumentalizzazione politica che per amore di verità o di giustizia. Ed è un certo settore della stampa, che il buon senso ed il pudore mi impediscono di chiamare organi di informazione, servi obbedienti dei vari gruppi di potere più reazionari del sistema, che hanno gettato il fango, il livore, la menzogna, l’odio, la diffamazione, con articoli da trivio, diretti contro i morti, contro di noi ed i nostri familiari, amici e compagni, onde screditare, con noi, il movimento anarchico in modo specifico e di riflesso tutta la sinistra in generale; vista fallita la loro manovra di manipolazione e di discredito, con l’infantilismo politico che li ha sempre contraddistinti, da bravi servi striscianti e obbedienti, tacciono.

Dove la strumentalizzazione politica è stata subito palese, fu nel cercare di provare nell’insinuazione che il nostro “gruppo anarchico 22 Marzo” era un gruppo ibrido, con elementi di destra. Si avanzò addirittura l’ipotesi di una… simbiosi fra anarchici e fascisti (si scrisse che gli estremi si toccano) come se si potessero fondere e conciliare la libertà e la dittatura. Tutta questa strumentalizzazione, solo ed esclusivamente per la premessa che un componente del gruppo, di provenienza fascista, frequentava ancora, a nostra insaputa, i suoi ex camerati: pertanto la tanto decantata simbiosi si risolve ad un contatto che era a noi tutti sconosciuto.

Dove la strumentalizzazione politica è ancora più evidente, è nei termini in cui si attaccano gli organi inquirenti che conducono (inteso nel senso di… manovrare) l’istruttoria nei nostri riguardi: attacchi portati non nel senso che l’accusa cercherebbe ogni mezzo legale e illegale per incriminare degli innocenti, ma che agirebbe in questa maniera per tendere a colpire i mandanti; è una disquisizione sottile, ma di importanza fondamentale; si passa perciò sulle nostre teste (con una chiara manovra politica) ipotizzando che potremmo anche essere colpevoli, ma, che saremmo solo dei semplici… pazzi esecutori.

Questa istruttoria, precostituita ad arte, copre non solo i mandanti, ma gli esecutori, i finanziatori, gli artificieri ed altri palesi interessati e… interessi. Perché se si sostiene e si scrive che su tutta l’inchiesta vi sono dubbi, ombre che fu quantomeno affrettata, unidirezionale, precostituita dall’inizio, condotta avanti stancamente con il riconoscimento falso, la delegazione di spie, l’intimidazione di testi, e pure con un buon margine di illegalità; ora essendo gli organi inquirenti autori di tutto questo, essendo pertanto i medesimi perfettamente al corrente di aver potuto incriminare degli innocenti, ricorrendo all’artifizio, non vedo come possano risalire ai mandanti partendo da noi. Mi sembra perciò abbastanza palese e logico che stiamo facendo solo da capro espiatorio: non si è voluto arrestare questi… per non risalire a quelli; tranne che non sia un nuovo metodo di indagine arrestare degli innocenti per risalire ai colpevoli.

Tutti sono unanimi nel sostenere la necessità di fare luce completa… sulla oscura morte del compagno Pinelli: tutti concordi che il nocciolo, che il marcio della questione sta là, che non si saprà mai la verità sugli attentati dinamitardi di Milano e Roma se prima non si saprà la verità sulla caduta di Pino. Ma i responsabili… della caduta, sono ancora ai loro posti, nessuna misura è stata presa nei loro confronti, l’omertà è stata tale da dare dei punti alla stessa mafia; si è praticamente permesso che i sospettati svolgessero una specie di indagine su loro stessi. Non solo, si è pure permesso, e si permette tutt’oggi, che i medesimi partecipassero all’indagine nei nostri confronti (ora si sa come) proprio a loro, che allontanare da sé i pesanti dubbi e indizi che li devono dimostrare a qualsiasi costo e con ogni mezzo che sia Pinelli sia noi siamo colpevoli; solo provando questo troverebbe un certo credito la tesi del suicidio di Pinelli. Se Pino è innocente, loro sono colpevoli, non esiste alternativa, e in tal senso hanno agito, hanno diffamato e accusato un morto, con dichiarazioni e comunicati che si sono dimostrati, alla prova dei fatti, completamente falsi; hanno costruito la falsa deposizione e il falso riconoscimento di Rolandi nei loro uffici, ed in seguito caduti e scoperti i loro falsi, hanno gettato, levandoselo di tasca, un vetrino il quale avrebbe dovuto apporre la mia firma sugli attentati; ma anche il sunnominato vetrino, come è stato ampiamente dimostrato era in loro possesso da molti mesi prima degli attentati, anzi avevano chili di vetrini colorati, con ampie libertà di scelta. Si vede che di fronte alla legge democratica, uguale per tutti, i nostri integerrimi poliziotti sono più uguali degli altri cittadini italiani: perché se nella loro identica situazione con le prove, gli indizi, le contraddizioni e le assurdità che vi sono state nel loro operato e nelle loro dichiarazioni si fossero invece trovati quattro impiegati o quattro metalmeccanici sarebbero stati immediatamente incriminati e incarcerati.

Ma forse il passato di sbirro al servizio della dittatura fascista, in quel di Ventotene, dei camerata Guida e e le specializzazioni, acquisite nelle scuole dei gorilla della C.I.A del socialdemocratico Calabresi, sono una garanzia sufficiente, tale da sollevare loro ed i loro accoliti da ogni ulteriore sospetto. Forse la nostra situazione può anche dipendere in parte dal fatto che nè dietro, nè sopra di noi, abbiamo o notabili, o gruppi o altro che ci appoggino.

Nell’incriminare tutti i familiari miei, hanno veramente toccato il fondo, incriminazione effettuata in spregio ad ogni obiettiva valutazione, valutazione mai applicata nei nostri confronti, ma tale prassi nazista non è stata usata neppure nei processi imbastiti dai colonnelli fascisti greci, nemmeno loro erano arrivati ad un tale grado di efferata infamia. Prima di incriminare, avrebbero dovuto appurare l’unica prova reale, la mia macchina, prima di dare credito a delle chiacchiere da caffè, ed assurgerle a dogma, avrebbero dovuto effettuare la perizia sulla macchina ed avrebbero avuto la dimostrazione tecnica che il mezzo meccanico non avrebbe potuto effettuare un tragitto così lungo e nel tempo addebitatomi (due periti della FIAT si sono rifiutati di partecipare alla loro commedia). Il mio meccanico di Roma, ha dichiarato che la mia 500 si trovava in pessimo stato, che la coppa dell’olio perdeva, che non aveva il motore truccato. Se a loro non bastavano le circostanziate e precise deposizioni dei miei familiari, per onestà professionale avrebbero dovuto, prima di prendere una decisione, effettuare tale perizia e possiamo essere certi che se avessero avuto solo una probabilità che tale perizia potesse risultare a loro favorevole, l’avrebbero richiesta subito e non avrebbero atteso cinque mesi. Non hanno tenuto in alcuna considerazione le dichiarazioni a loro contrarie, e cioè testimonianze di diversi miei colleghi del Jovinelli, i quali deposero o di non avermi visto, il giorno in cui l’accusa mi contesterebbe il viaggio a Roma, o di avermi notato in epoca poco precedente, come io sostenevo e sostengo. Angelo Fascetti si recò due volte per testimoniare a mio favore, davanti al giudice Cudillo, ma non riuscì a farsi ricevere.(86) Il Fascetti sarebbe il giovane moro, notato con me al bar Jovinelli, il 13 o il 14 dicembre ‘69. Egli perciò voleva testimoniare quanto io sostenevo, che tale incontro avvenne diversi giorni prima di tale data, che i testimoni dell’accusa si erano sbagliati di data. A titolo di cronaca, debbo anche dire che uno dei tre testi dell’accusa, aveva alcuni contatti con la polizia, contatti che derivavano dal fatto che egli si interessava a procurare a terze persone, con una certa facilitazione e celerità, passaporti ed altri documenti.(87) Ermanna Ughetto, altro loro super teste (chissà poi perché tutti i testi dell’accusa sono super, quelli a difesa, o non sono credibili, o mentono, o vengono incriminati), colei che io avrei accompagnato a cena, in macchina, sempre la sera del 13 o del 14: dunque il loro ennesimo super teste, dopo gli attentati ai treni dell’agosto 1969. essendo una mia conoscente, fu interrogata diverse volte dalla polizia di Roma, subì diverse pressioni, fu minacciata che se non avesse collaborato e detto tutto ciò che sapeva su di me, le avrebbero reso la vita difficile tramite la squadra del buon costume.

Tale circostanza, l’affermò l’Ughetto medesima, in presenza di alcuni nostri comuni colleghi di teatro, i quali sicuramente potranno testimoniare in tal senso.(88)

Tralascerò di accennare alle pressioni che dovetti subire io. E’ però abbastanza sintomatico che tale teste abbia deposto quello che faceva comodo all’accusa ed in più ad oltre due mesi di distanza. Chiamai altri testimoni che potevano confermare le mie affermazioni, ma non mi risulta che siano stati citati. Accantonando le loro valutazioni sempre pregiudiziali, un fatto è positivo, io a Roma sarei stato visto prima in un bar e poi a un ristorante, questo è tutto, niente altro mi è stato contestato: pertanto il 13 e 14 dicembre scorso, io ero completamente libero di andare dove e con chi avessi voluto, non avrei commesso nessun reato a ritornare a Roma, con relativa cenetta a due, non sarei stato incriminato per questo; per quale assurda ragione avrei dovuto negare? (sono pure scapolo), che motivo avrei. avuto di crearmi un alibi a Milano in tal senso? Se mi fossi comportato come sostiene l’accusa. l’avrei dichiarato dall’inizio, era tutto nel mio interesse non dare adito a dubbio o altro. Invece tutto questo è solo un’altra prova che dimostra che ai miei moderni inquisitori non interessa per nulla la verità e la giustizia, ma solo riuscire a puntellare ad ogni costo con macroscopici indizi, le loro tesi da fantascienza. La loro manovra è servita solo ed esclusivamente ad incriminare un teste a mia difesa che diceva la verità, e cioè mia zia Torri Rachele.

Non potendo assassinare la verità di fronte, l’hanno colpita alle spalle, come è loro abitudine, questo e il loro contorto e viscido disegno cercano di dimostrare che i familiari di Valpreda possono aver mentito nei giorni 13 o 14 e di conseguenza potremmo sostenere che possono aver mentito anche il 12. Perché bisogna tener presente che mia zia conferma il mio alibi per il giorno 12, il quale non è per nulla in contrasto con le dichiarazioni dei testimoni del Jovinelli che riguardano invece il 13 o il 14… Anche qui l’accusa si è mostrata perfettamente coerente con i suoi metodi.

Passiamo ora al fantomatico deposito sulla via Tiburtina.(89) Deposito che consisterebbe in un buco. lo non sono responsabile di un sentito dire, o di una semplice dichiarazione fattami a voce che potrebbe risolversi solo in una chiacchiera, come in effetti avvenne. Sulla scorta di tale aleatoria affermazione, la polizia effettuò in mia presenza, un sopralluogo all’ottavo chilometro della via Tiburtina, nella notte dei 15 dicembre 1969. Tale sopralluogo dette esito negativo, ed in tale senso firmai un verbale negli uffici della questura politica: a tale riguardo vorrei precisare che la polizia affermò, abbastanza seccamente, che li avevo presi per i fondelli, che li avevo fatti girare a vuoto di notte, che li avevo condotti in un luogo dove io sapevo a priori che non vi era nulla, che loro non erano dei cretini e le solite frasi di circostanza che dicono tutti i poliziotti in tali situazioni. Poi invece diramarono ed allegarono agli atti un verbale di un commissario che aveva partecipato al sopralluogo notturno, in cui dichiarava di aver trovato un buco (allegata relativa foto del buco). Ora si cade nel ridicolo: sulla Tiburtina vi erano diversi buchi, me ne ricordo un paio, di cui uno quasi colmo di bottiglie vuote e di cocci di vetro. Sic.

La perizia balistica effettuata sui resti delle bombe, ha dimostrato che i congegni erano a tempo, con una specie di accensione a molla e per nulla a miccia: ma l’accusa strombazza su un pezzo di miccia reperito nell’abitazione di un compagno indiziato, e richiesta di perizia sulla medesima; (90) come dire che trovando un uomo colpito da una pallottola sparata da una rivoltella… effettuerebbe una perizia su di un coltello.

Ha fatto pure capolino lo spionaggio finché anche questo ennesimo bluff si è risolto con l’acclusione agli atti di… alcune poesie ed alcuni indirizzi di caserme, senz’altro reperibili su ogni guida telefonica.(91) Come sempre. l’insinuazione falsa è stata pubblicata a caratteri cubitali in prima pagina, e chiamiamola la smentita… due righe nelle pagine interne.

E vediamo per ultima la loro ulteriore scaltrissima mossa, che avrebbe dovuto, in parte, riuscire a puntellare e colmare in parte i loro vuoti e le loro ipotesi scaturite su premesse assurde: la cosiddetta perizia psico fisica nei miei, riguardi, onde appurare in primo luogo le mie capacità deambulatorie ed eventualmente giustificare l’assurdo… con la pazzia. Detta perizia è stata a me favorevole ed ha confermato la mia integrità psico-fisica: per cui eventualmente di tarate rimangono le sopraddette ipotesi e le loro origini. Ed è nuovamente sintomatico conoscere chi sia l’individuo che anche in questa circostanza avrebbe dichiarato che io soffrivo di crampi alle gambe.(92) Io frequentavo il sindacato ballerini e le regolari lezioni giornaliere di danza classica: decine di miei colleghi studiavano con me; il mio maestro da oltre un anno era Sabino Riva. Ebbene, tale dichiarazione l’accusa non l’ottenne da nessuno di loro, ma da un certo Andres, che aveva sostituito temporaneamente, negli ultimi tempi, il mio maestro. effettivo. Ora il sunnominato Andres è un profugo dell’Est, un rumeno il quale si trovava in Italia in una situazione precaria sia finanziariamente che legalmente, ed attendeva, fra l’altro, il visto d’ingresso negli Stati Uniti; ed è abbastanza strano che una parvenza di dichiarazione a loro favorevole sia stata rilasciata da un individuo che per la situazione sopraddetta, era idoneo ad essere maneggiato, a subire pressioni senza poter dire no, ed eventualmente ad altro. Un fatto è certo, che se il killer che effettuò la strage di P.zza Fontana usufruì veramente del taxi del super teste Rolandi, lo fece sapendo a priori che sarebbe stato ben coperto da alcuni organi, che non aveva nulla da temere a farsi riconoscere, perché un altro sarebbe stato riconosciuto e identificato al suo posto. Infatti si è dimostrato, con il suo comportamento, cinico, freddo, spietato, fors’anche paranoico… ma non un mongoloide mentale come a loro farebbe comodo.

Al rimanente dei compagni incriminati ingiustamente, non hanno potuto nemmeno contestare uno dei loro indizi fasulli; li hanno incriminati con delle supposizioni costruite su ipotesi: i compagni hanno alibi che li scagionano, non un solo indizio è emerso a loro carico: ma sono stati incarcerati perché così era stato deciso dall’alto, perché erano e sono anarchici. E gli organi inquirenti si sono affannati a indagare su chi pagava la pizza, su chi aveva contatti sessuali con una certa donna, su chi partecipava alle manifestazioni, come facevamo a pagare l’affitto della sede, in quale trattoria ci si recava a bere a Trastevere, chi scriveva sui muri, perché il tale non si è recato a un dato appuntamento, quanti gettoni occorrevano per telefonare a Milano. Non esisteva più la proporzione nè dei fatti, nè degli oggetti. A me personalmente sono arrivati a contestare pure due nomi di organi sessuali che avevano trovato scritti sul taccuino magnetico della mia macchina (era palese lo scherzo, non era nemmeno la mia grafia), sostenendo convinti che erano nomi convenzionali con cui si denominava… l’esplosivo. Qui siamo addirittura nella neurosi da sogno. Ma su tutti i loro interrogatori, che ho subito (credo di aver passato le 100 ore) dominava un interrogativo, la domanda sempre presente, ciò a cui premevano, perché si è ammazzato Pinelli? Sempre Pinelli… gli ipocriti.

Che la polizia avesse una spia nel gruppo, l’avevo non solo detto ma pure scritto diversi giorni prima degli attentati, però nè i compagni nè io eravamo riusciti ad individuarla.(93) Almeno su questo fatto assodato, non dovrebbero esistere speculazioni politiche di sorta, anche se ne sono state ventilate alcune. La spia non poté riferire nulla ai suoi degni padroni perché nulla vi era da riferire. La spia non riferì nulla, non perché non ne era al corrente, ma perché non vi era nulla di cui essere al corrente. Agì in seno al gruppo senza venire scoperta, fino al nostro arresto (e pure dopo) la polizia fu sempre al corrente di tutto, non solo dei nostri gesti, ma pure dei nostri discorsi: era al corrente della ragione di tale viaggio; e questo mi fu confermato da Improta, braccio destro di Provenza, lunedì 15 dicembre, quando fui tradotto da Milano a Roma, mediante un sequestro di persona. Appena giunto in questura mi interpellò con queste parole “Sapevamo, Pietro, che stamattina a Milano saresti andato al palazzo di giustizia per farti interrogare dal giudice Amati”. Non vi era proprio niente che loro non sapessero sul nostro gruppo.

Da quanto mi risulta, la polizia ebbe informazioni ben precise su quali erano le forze politiche da sorvegliare. La sinistra extraparlamentare era al corrente che vi era stata una riunione ad alto livello di estremisti di destra per azioni ben programmate, io ne accennai in una lettera all’avvocato Boneschi per cui un fatto del genere non potevano assolutamente ignorarlo.

Credo inutile ripetere a chi servivano le bombe, chi aveva interesse a gettare il discredito sulla sinistra, chi voleva spezzare le contestazioni, le rivendicazioni salariali, ecc., sono ormai argomenti detti, scritti e riscritti.

Come l’opinione pubblica ha potuto intravedere attraverso la cortina fumogena di falsità creata deliberatamente all’inizio dell’inchiesta, almeno una parte della verità, ne ha tratte subito le debite e logiche conclusioni: gli organi inquirenti di tali verità (e di molte altre) ne erano in possesso subito dopo i fatti di Roma e Milano, e poco tempo dopo. Hanno proseguito e proseguono in una direzione che sanno sbagliata. Perché?



NOTE:

(85) Chi è Pietro Valpreda? Per il “Secolo d’Italia” (19 dicembre) “una belva oscena e ripugnante, penetrata fino al midollo dalla lue comunista”; per “il Messaggero” (17 dicembre) “una belva umana mascherata da comparsa da quattro soldi”; per “La Nazione” (18 dicembre) “un mostro disumano”; per l’organo del PSU, L’”Umanità” (18 dicembre) “uno che odiava la borghesia al punto da gettare rettili nei teatri per terrorizzare gli spettatori”; per “Il Tempo” (18 dicembre) ” un pazzo sanguinario senza nessuno alle spalle”; ecc. Questo per la stampa di destra.

Per l’”Avanti!” (18 dicembre) è invece “un individuo morso dall’odio viscerale e fascistico per ogni forma di democrazia”; per “l’Unità” (19 dicembre) “un personaggio ambiguo e sconcertante dal passato oscuro, forse manovrato da qualcuno a proprio piacimento”.

Va detto, a parziale giustificazione dei due quotidiani di sinistra, che, subito dopo il suo arresto, da ambienti anarchici qualificati fu diffusa la notizia che da tempo si dubitava di lui: sul finire dell’estate al circolo Bakunin era giunta da Milano la segnalazione di tenerlo d’occhio. A quell’epoca alcuni anarchici milanesi del “Ponte della Ghisolfa” erano venuti a conoscenza del verbale d’interrogatorio di un loro compagno accusato degli attentati del 25 Aprile. Tra le varie domande rivoltegli dagli inquirenti una suonava presso a poco così: “E’ vero, come ci ha detto Valpreda, che una volta gli hai chiesto degli esplosivi?”. La cosa – con l’aggravante di una sospetta provocazione dovuta all’assoluta estraneità dell’anarchico ai fatti addebitatigli – venne segnalata a Roma. Solo a molti mesi di distanza, nel gennaio del ‘70, gli anarchici milanesi – venuti a conoscenza di un secondo verbale – scopriranno che si era trattato di un equivoco. Il verbale si riferiva all’interrogatorio di A.D.E., svoltosi subito dopo gli attentati del 25 Aprile. Vi compariva la frase: “Valpreda una volta mi disse che x gli aveva chiesto se conosceva il modo di procurarsi degli esplosivi”. La dichiarazione di A.D.E., personaggio ambiguo che già gli anarchici consideravano con sospetto, venne attribuita dagli inquirenti, nel corso delle contestazioni mosse da x, a Pietro Valpreda, ed iscritta a verbale. Un vecchio trucco della polizia, che comunque, in questo caso, fece nascere sul conto di Valpreda una “voce” che, mai efficacemente smentita, ha ingenerato equivoci anche tra i militanti di sinistra. Alcuni dei quali sono tuttora convinti che egli, opportunamente “manovrato” dall’apparato, sia davvero l’esecutore materiale della strage di Piazza Fontana.


Chi è Pietro Valpreda non sta a noi giudicare. In una vicenda che coinvolge profondamente la classe operaia e i militanti rivoluzionari del nostro paese di lui c’interessa il ruolo che occupa nel disegno reazionario complessivo: e, più in particolare – come già per Giuseppe Pinelli nel contesto dell’inchiesta e dell’istruttoria, che di esso sono parti organiche e inalienabili. Per questo, dal momento che si tenta – con un’ultima grottesca scappatoia – di farlo passare per pazzo, ci sembra opportuno allegare a questa contro-indagine un documento da cui – se non altro si può evincere che le facoltà mentali di Pietro Valpreda – come del resto le sue capacità deambulatorie – sono in perfette condizioni.

Questa lettera è uscita da Regina Coeli clandestinamente, scavalcando la censura carceraria.


(86) Angelo Fascetti, nell’Aprile del ‘70, è stato arrestato e incarcerato al termine di una manifestazione di solidarietà con Valpreda. I poliziotti lo hanno “selezionato” tra una ventina di altri anarchici presenti.

(87) Allude probabilmente a Armando Gageggi, un vecchio attore d’avanspettacolo che svolge questa attività per arrotondare la pensione.

(88) Esistono quattro testimonianze al proposito.

(89) L’esistenza del deposito di esplosivi fu segnalata alla polizia da Mario Merlino, il quale affermò di averne sentito parlare da Roberto Mander ed Emilio Borghese.

(90) La “miccia”, rinvenuta in casa di Roberto Mander durante una requisizione, è in realtà una di quelle cordicelle cerate che si usano per i “botti” di Capodanno.

(91) Allude al “quaderno musicale” sequestrato in casa di Enrico Di Cola, l’anarchico del 22 Marzo che, imputato di “associazione a delinquere”, ha preferito rendersi latitante. Su una pagina del quaderno erano stati segnati i nomi di alcune notissime basi NATO in Italia.

Quando la notizia fu comunicata alla stampa il quotidiano di sinistra “Paese-Sera” pubblicò un titolo a quattro colonne in prima pagina in cui si preannunciava, come probabile, un’inchiesta del S.I.D. in merito alla scoperta. Il 4 Gennaio 1970, dopo l’annuncio da parte del magistrato inquirente dott. Occorsio dell’incriminazione del Di Cola, il quotidiano dei M.S.I “Il Secolo d’Italia” scrisse: “Il passato criminale di Enrico Di Cola può essere sintetizzato nei seguenti punti:

1) andava spesso con Valpreda in pizzeria;

2) partecipò ad uno sciopero della fame davanti al Palazzo di Giustizia per protestare contro l’arresto di alcuni anarchici;

3) il pomeriggio dei 12 Dicembre ascoltò una conferenza nel circolo 22 Marzo.

Con simili prove il Di Cola può essere incriminato senza ombra di dubbio di concorso in strage o almeno di associazione a delinquere”.

(92) Com’è noto, subito dopo l’arresto di Valpreda e l’”uscita” del taxista Rolandi che dichiarò di averlo accompagnato davanti alla Banca dell’Agricoltura con la valigetta dell’esplosivo, fu diffusa immediatamente la voce dagli ambienti polizieschi che il ballerino era afflitto dal “morbo di Burger”. La malattia. che comporta la necrosi progressiva degli arti inferiori, lo avrebbe costretto a percorrere in taxi i 147 metri che separano l’edificio della banca dal punto dove Cornelio Rolandi afferma di averlo preso a bordo. I giornali scrissero che le malattia era “all’ultimo stadio”, che egli aveva già subito. “l’amputazione di varie dita dei piedi”, che di notte, in cella, “si rotolava gridando per il dolore agli arti inferiori”. Il 17 Dicembre “Il Messaggero” scrisse: “… minato dal morbo di Burger, che aveva stroncato le sue ambizioni di ballerino, Valpreda era un disperato che ha finito per trascinare e travolgere nel mostruoso disegno i compagni più giovani e inesperti”. Due persone – un anarchico che aveva partecipato con lui ad una marcia della pace di 70 km ed una, sua amica che aveva avuto occasione di osservarne poco tempo prima le dieci dita dei piedi – si recarono in questura per testimoniare ma gli dissero di ripassare. Un commissario della squadra politica, in vena di confidenze, disse ad un suo conoscente: “E’ una storia ridicola! Gli agenti che lo pedinavano tornavano in questura sfiancati”.

(93) Quando VaIpreda ha scritto la lettera, il nome dei poliziotto Salvatore Ippolito “in arte” anarchica Andrea Politi non era ancora stato reso noto. In varie occasioni, parlandone con il proprio avvocato o nelle lettere spedite dal carcere ai compagni, egli aveva espresso il dubbio che all’interno dei “22 Marzo” si fosse infiltrata una spia anche se non era in grado d’identificarla. L’”anarchico di Stato” dirà invece di non esser stato in grado di segnalare i preparativi della strage perché Valpreda e C., sospettando di lui, lo avevano emarginato e tenuto all’oscuro. In realtà egli continuerà a frequentare il circolo fino alla vigilia degli attentati ed anche in seguito. Quanto alle sue dichiarazioni relative all’incontro del 14 dicembre con Emilio Borghese, durante il quale questi gli avrebbe “confessato” la propria responsabilità, va messo in rilievo il comportamento improvviso dei giovane che, dopo aver tramato stragi alle sue spalle, una volta placata la sete di sangue si sarebbe affrettato a restituirgli piena fiducia. In realtà l’Ippolito era riuscito a mimetizzarsi egregiamente, e, semmai l’unica cosa che i suoi superiori potrebbero imputargli è l’eccesso di zelo. Infatti – a parte le proposte di attentati che, spesso e volentieri, rivolgeva ai “compagni” del 22 Marzo – il 15 novembre, nel corso della manifestazione antimperialista che si svolse a Roma, due militanti del Movimento Studentesco lo disarmarono mentre. impugnando una sbarra di ferro, si accingeva a sfasciare la vetrina di un negozio di abbigliamento.

17 dicembre 2009

Commento n 2 alla "verità" di Paolo Cucchiarelli

Commento n 2
Commenti e note in ordine sparso alla "verità" di Paolo Cucchiarelli
a cura di Enrico Di Cola
http://stragedistato.wordpress.com/

A pag. 28 Cucchiarelli scrive

Gli anarchici del Circolo «22 Marzo» (Roma)
Pietro Valpreda, una volta a Roma, fu allontanato a forza anche dal «Bakunin», principale circolo anarchico della capitale. Si riunì allora nel gruppo «22 Marzo» insieme a una decina di altri giovani. Tra i componenti, c’erano anche individui eterogenei di dubbia natura: il co-fondatore Mario Merlino, fascista ridipinto di rosso dopo un viaggio nella Grecia dei colonnelli, un finto anarchico (in effetti un poliziotto in incognito), un fascista che teneva conferenze sul dio Mitra. Tra gli aderenti, anche Stefano Serpieri, fascista informatore del SID, il servizio segreto militare italiano.
Nella nota 147 pag 663, leggiamo “Un bel libro scritto da Aldo Giannuli e Nicola Schiavulli, Storia di intrighi e di processi. Dalla strage di piazza Fontana al caso Sofri, Edizioni Associate, Roma, 1991, sostiene che tra gli uomini che "ronzavano attorno a Pinelli" c'era, oltre a Sottosanti, anche Stefano Serpieri, il fascista informatore del Servizio informazione difesa vicino al circolo "22 Marzo" in cui militava Valpreda.


Uno dei punti forti su cui si regge la tesi accusatoria di Cucchiarelli è che il 22 Marzo era un micro gruppo ibrido composto da fascisti e anarchici con qualche innesto dei servizi segreti e della questura.
E’ a tutti noto, che in effetti subimmo la doppia infiltrazione del poliziotto Salvatore Ippolito e del fascista Mario Merlino. In altra occasione magari torneremo sul punto delle infiltrazioni che in quegli anni colpirono tutta la sinistra, nessuno escluso (dal Pci ai gruppi Ml) e che non furono una prerogativa degli anarchici come si tenta ancor oggi di far credere.
Quel che qui mi preme sottolineare è che nel circolo 22 Marzo oltre ai due personaggi di cui sopra (Merlino-Ippolito), NON vi erano altri “individui eterogenei di dubbia natura”.
Il “fascista che teneva conferenze sul dio Mitra”, cioe Antonio Serventi, NULLA aveva a che fare con il nostro circolo. Come è arcinoto e appurato, la conferenza del 12 dicembre doveva essere tenuta al circolo Bakunin, ma fu spostata - la sera precedente - al 22 Marzo in quanto all’ultimo momento il Bakunin non aveva concesso la sala. Serventi tenne quindi un’unica conferenza semplicemente perchè – essendo noi contrari ad ogni tipo di censura – acconsentimmo a che si tenesse nei nostri locali nonostante il tema non fosse certo di grande interesse per noi.
In quanto a Stefano Serpieri, fascista informatore del SID, il servizio segreto militare italiano, nessuno di noi lo ha mai visto o conosciuto (fortunatamente!) e quindi, dopo aver verificato con tutti gli ex compagni del 22 Marzo – affermo che Stefano Serpieri MAI ha aderito o MAI ha frequentato il nostro circolo.

29 novembre 2009

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22 novembre 2009

Commento n 1

Commenti e note in ordine sparso alla ‘’verita’’’ di Paolo Cucchiarelli
a cura di Enrico Di Cola
http://stragedistato.blogspot.com/

A p. 318 Cucchiarelli scrive
“ Valpreda certo si era fidato di tanti amici. C'era chi offriva questo, chi quello: tutto sembrava possibile allora, a portata di mano, realizzabile e facile. Troppo facile. Il giro non era affatto fidato. I fascisti infatti seguivano da vicino tutta la preparazione dell'operazione, tramite Mario Merlino e altri infiltrati nel circolo romano, mai identificati. Tra questi c'era un certo Fefè, un certo D.; nel gruppo, dopo la strage, si indicò anche un certo F., anch'egli legato a filo doppio a Merlino. C'era il greco Cristus, esponente fascista dell'ESESI, l'organizzazione degli studenti greci in Italia che sosteneva il regime dei colonnelli. E poi a Milano, c'era la commistione con i maoisti e nazi-maoisti che inquinava i gruppi neo anarchici e marxisti-leninisti “

Risposta:
Aumentando il numero delle bombe devono aumentare i bombaroli e se possibile anche il numero di infiltrati fascisti. Qui Cucchiarelli fa delle dichiarazioni estremamente gravi senza peraltro portare la benchè minima prova di quanto sostiene. Non vi sono infatti note o richiami a documenti e quindi dobbiamo dedurre che ci troviamo di fronte a farina del sacco dello scrittore stesso.
Da dove ricaverebbe il signor Cucchiarelli la presenza di altri infiltrati “mai identificati” nel circolo romano non è quindi dato sapere. Certo è che gli servono (altrimenti le bombe romane chi le ha messe?)
Così tra questi fantomatici infiltrati ci sarebbero stati un certo Fefè, un certo D. e anche un certo F.
Ora un Fefè c'era sicuramente tra di noi: si trattava di un compagno romano molto attivo e conosciuto nel movimento. Un compagno mai stato fascista e tantomeno infiltrato tra di noi. Secondo alcuni sarebbe morto alcuni anni fà e quindi non potrebbe difendersi oggi da questa odiosa accusa per cui lo faccio io per lui.
Riguardo ai certi “D.” e “F” , - iniziali che non dicono nulla e dietro le quali si potrebbe nascondere di tutto ...o il niente totale – per essere un minimo credibile Cucchiarelli avrebbe dovuto fare almeno dei nomi. Usare due iniziali e’ un modo vile di insinuare, mettendosi anche al riparo da eventuali contestazioni.
Ma dove la fantasia di Cucchiarelli tocca le vette del ridicolo è quando dal suo cappello magico tira fuori perfino un fascista greco... “Cristus”!
Il “greco Cristus” di cui parla Cucchiarelli in realtà era un italianissimo compagno (Roberto Giuliani) come risulta anche agli atti e nella sentenza di Catanzaro (Capitolo XLIII, La conferenza “truccata”, pag. 982). Insomma un ennesimo tarocco costruito dal Cucchiarelli per puntellare la sua verita’ sulla strage.

11 novembre 2009

Lettera aperta di Enrico Di Cola - letta da Roberto Gargamelli il 9 luglio 2009 al Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa

(letta il 9 luglio 2009 al Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa Nell'anniversario
della morte di Pietro Valpreda)

Lettera aperta di Enrico Di Cola

Cari compagni,
Sono circa 37 anni - dalla liberazione dal carcere di Pietro e gli altri compagni ingiustamente accusati - che non rilascio dichiarazioni pubbliche.
La verità sulla Strage di Stato e sull’assassinio di Pino Pinelli erano ormai realtà acquisite tra la gente, tra i lavoratori, e Pietro, Robero, Emilio – ormai liberi – potevano difendersi e difendermi in modo adeguato e quindi ho ritenuto che la mia voce “da lontano” fosse ormai diventata inutile e superflua.
Poi il tempo è passato e – tranne alla vigilia dei 12 dicembre e del 16 dicembre (quando Pinelli fu assassinato) che sono seguiti – avevo quasi cancellato dalla memoria quei tragici giorni e avvenimenti che ci avevano sconvolto e travolto.
Avrei voluto continuare questo mio silenzio, ma la recente pubblicazione dell’ennesimo libro su Piazza Fontana, che – fin dal titolo – “Il Segreto di Piazza Fontana” lasciava sottendere nuove sconvolgenti rivelazioni, mi ha ridestato dal torpore.
Ho letto le prime recensioni del libello del sig. Paolo Cucchiarelli con un misto di stupore ed una rabbia sempre crescente: poi leggendo questo noir ho capito che il mio lungo silenzio doveva essere rotto, che è necessario dare delle risposte a questo signore e alle malevoli e allucinanti “interpretazioni” e “certezze” che trae dalla lettura di “verbali processuali”, da ignote “fonti di destra” e da depistatori professionali dei servizi segreti e pidduisti come Russomanno.
A distanza di quarant’anni dalla strage di Piazza Fontana e dall’omicidio di Pino Pinelli il visionario signor Paolo Cucchiarelli cerca la quadratura del cerchio della strategia della tensione e impacchetta anarchici e fascisti in un’unica bella confezione regalo: tutti bombaroli ed assassini. Valpreda mette la bomba a Piazza Fontana (ma non sapeva che era una trappola e sarebbe esplosa prima dell’orario di chiusura...grazie anche ad una SECONDA bomba fascista!!! Sic.) .. ma non è il solo, a Milano e Roma altri anarchici (ma siamo sicuri che eravamo veramente anarchici e non “neoanarchici” come veniamo misteriosamente etichettati ) piazzano le altre bombe (cioè membri del “22 marzo” a Roma e dello Scaldasole a Milano)
Neanche Pinelli si salva da questa furia di riscrittura della storia di questo ‘’romanziere’’: Pino sapeva di altre due bombe...(mai trovate o esistite!) e ha cercato di fermare gli attentatori. (quindi sarebbe un complice se conosce attentatori e luoghi! ...ma questo prudentemente non lo scrive ma lo lascia solo intendere).
Come ben illustra il titolo di questo incontro: Piazza Fontana strage di stato, Valpreda innocente Pinelli assassinato. Vittime e carnefici non condividono la memoria, io credo che oggi sia necessario un grosso impegno di tutti noi, di tutta la sinistra (o quel che ne rimane) a far si che la nostra memoria collettiva e le figure dei nostri compagni che ci hanno lasciato non vengano stravolte ed insudiciate. Dobbiamo rialzare la testa così come facemmo dopo le bombe del 12 dicembre, per fronteggiare questa immonda campagna di criminalizzazione e riscrittura della storia.
Credo anche che tutti i compagni che allora furono coinvolti – non solo giudiziariamente ma anche emotivamente per essere stati vicini alle persone e circoli colpiti dalla repressione, debbano fare un passo in avanti rispetto al passato. Ora che siamo in condizione di farlo perchè fuori dalle galere, fuori dalle latitanze, fuori dalle persecuzioni e dalle paure di quei giorni, credo sia giunto il momento di prendere un impegno davanti a tutti i compagni – sia quelli presenti che i tanti ormai non ci sono piu’ - senza timori per i nostri errori, per le nostre stupidate: è giunto il momento che tutti assieme scriviamo chi eravamo e cosa realmente facevamo. Non è più accettabile e tollerabile che veline, verbali estorti, questurini, fascisti, voci diffuse ad arte, depistatori di ieri e di oggi possano attaccarci addosso etichette, vizi e colpe che non abbiamo mai avuto.
Solo in questo modo – io credo – potremo ricordare coloro che ci hanno lasciato e che non possono più difendersi.
Ciao Pietro, ciao Pino, ciao Aldo e Anna Rossi, ciao Angelo Casile, Giovanni Aricò,
Annelise Borth, Luigi Lo Celso, Franco Scordo, ciao Giovanni Ferraro, ciao Amerigo
Mattozzi. E ciao anche ad Eduardo Di Giovanni e Marco Ligini che furono tra i pochi
della sinistra che ci aiutarono in quei tragici frangenti.
Ciao a tutti ....noi non dimentichiamo!